Prima stesura. Su “La gelosia” di Alain Robbe-Grillet • Luciano Passoni

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(_e letture critiche)

 

Il testo di seguito è una riflessione sul libro La Gelosia (1957) di Alain Robbe-Grillet (1922-2008), tra i massimi esponenti del Nouveau Roman. Luciano Passoni regala a luogo_e un’analisi attenta e puntuale del testo scelto per accompagnare la mostra _e solo SILVIA NEGRINI, seconda edizione del format di esposizioni personali dell’associazione. Riga dopo riga, al lettore viene svelata l’origine dell’accostamento tra la scrittura di Grillet e la pittura dell’artista.

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Una descrizione puntuale, portata fino all’esasperazione. Un’analisi geometrica, da cartografo, fatta di linee, di incroci, di movimenti, di ombre che arrivano a sovrapporsi o ad incontrarsi.
Una puntualizzazione da GPS del collocarsi nello spazio, un’angolazione della visione che rasenta il puntamento del tiro a segno.
Tutta una serie di dati, logici, geometrici; tutta una sequenza di “numeri”, di cui non si saprà mai la somma, perché così tutti insieme non riescono a dare risposta, a fare la somma di ciò di cui si teme.
Perché il temere o il sentire non si nutrono di questi numeri. Questo oggettivo essere non sazia ciò che per noi è un sembrare, o un intuire.
Intuire cosa? Una cosa che tutta questa precisione non svela, perché, banalmente, non è oggettiva, è interamente soggettiva e forse nemmeno vera, oppure ancora più vera di quello che sembra. E comunque tutta questa visione accurata, attenta, ossessiva, non sarà mai in grado di darle un grammo di parvenza di verità. Nessuna prova è estraibile da loro.

La cosa c’è ed è in atto. La sua verità non è data. Sono continuamente dati dei dati, precisi, ma alla rinfusa, temporalmente scollegati, così come si sommano, si sovrappongono, si sdoppiano e si smentiscono in un sentire privo di ormeggi, in balia del sospetto, di un sentire in preda a un temere privo di ansia, contratto nella tensione, che cerca di svelarsi nella lucida raccolta di dati.
Un temere che cerca risposta da una visione oggettiva, alla ricerca di prove oggettive, visibili e precise come gli incroci delle linee delle ombre che puntualmente si verificano in determinate ore, il tutto previsto e registrato dalle leggi della bussola.
La gelosia non ha bussola, più la cerca e più la perde, più si affida a lei, più si perderà.
La gelosia non ha antidoti.

 

Precisazione
(forse da premettere, forse da far seguire)

Se una persiana ha un meccanismo che modifica l’inclinazione dei listelli di cui è composta per poter modulare l’ingresso della luce, si dice che abbia una gelosia. La gelosia permette anche di poter vedere fuori, senza essere visti da fuori.
E questa è la posizione del terzo nel rapporto a due tra A. e Franck. Non perché sia nascosto, bensì perché, nonostante sia presente, risulta non visto. Una gelosia è nascosta agli altri due, una gelosia lo nasconde a noi che guardiamo gli altri due. Noi, nel racconto, forse vediamo con i suoi stessi occhi, che vedono ciò che lui vuol vedere come oggettivo, ma che in lui, “l’altro”, si confonde in mille interpretazioni.
Vede ma non è “visto”. È presente fisicamente – è il terzo bicchiere, il terzo posto a tavola, la terza poltrona, sia pur staccata dalle altre due – ma è totalmente ignorato dagli altri, silenziosamente presente a noi e alla storia.

Chi e cosa nasconde la gelosia?
Che sia una gelosia che nasconde una gelosia a noi e agli altri due?
O che gli altri due non necessitino di nessuna gelosia né per vedere, né per non essere visti?
È questo essere presente senza esserci lo stato del geloso, che c’è, ma non nel modo in cui vorrebbe esserci, che c’è, ma partecipa della sua esclusione.

 

Per inciso
(sulla copertina)

È raro trovare delle copertine che siano oltre che belle anche giuste. Per me quella de La gelosia nell’edizione SE del 2020, è una di queste. Si tratta di un particolare del quadro di Mondrian Composizione con blu e rosso del 1932, che perfettamente sintetizza il senso del libro.
Per tre quarti la copertina è bianca, come ci immaginiamo sia vestita A., frutto della scarna descrizione della prima pagina (per il resto, di A. sapremo molto dei suoi capelli e della loro cura, ma poco del vestiario).
Per la verità, anche Franck è spesso descritto vestito di bianco (siamo in Africa), ma qui, nella copertina, ce lo qualifica lo spazio blu, che ne ricopre il restante quarto.
Franck è in realtà “l’altro”, anche se nei rapporti con A. dovremmo chiamarlo “lui”.
Nessuna traccia del rosso, il rosso in copertina non c’è.
(N.B. di lei sappiamo solo l’iniziale del nome, A., di lui che si chiama Franck, dell’altro niente.)

Due linee nere parallele attraversano orizzontalmente la copertina perfettamente a metà, una linea verticale più spessa la attraversa per tutta la sua altezza, anch’essa perfettamente a metà.
A. nella storia vive con un “lui” di cui non si sa niente (potrebbe essere anche una “lei”, per quello che ne sappiamo) che qui nella storia è “l’altro”. Nella copertina questo lui, che è l’altro, è la linea verticale che attraversa (seca) le due orizzontali, ed è, soprattutto, il colore rosso mancante. Mancante? Forse semplicemente nascosto dal riquadro grafico del titolo (che funge da gelosia) o, più probabilmente, tutto fuori dal quadro – ciò che del quadro non si vede.
In totale una copertina di 22×13 centimetri che inquadra perfettamente l’impianto generale del racconto.

 

Perché
(perché ne parliamo)

Ne parliamo perché questo è il libro che accompagnerà la mostra _e solo Silvia Negrini che inaugurerà a luogo_e il 22 settembre 2022.
Nelle opere di Silvia abbiamo ritrovato la stessa cura, la stessa maniacale descrizione, la stessa pulizia di esecuzione, la stessa volontà di inquadrare un visibile che sia di fatto quello che è, trasportato nella sua forma sintetica, che abbiamo trovato nella scrittura di Alain Robbe-Grillet.
I quadri di Silvia Negrini sembrano essere sfondi pronti ad accogliere storie, possibili, tutte da inventare, ma forse anche sfondi destinati a restare sempre vuoti. Sono la sintesi, l’ipotesi, un loro possibile. Un incipit in attesa di un work in progress, forse neanche desiderato.
I colori sono piatti (come in Mondrian), le linee dei contorni precise perché il mondo di Silvia Negrini tende a una visione “oggettiva” (più che scientifica, geometrica). Niente pathos, niente allusioni o sensazioni indistinte, c’è quello che è nella sua semplicità, nel suo mostrarsi in piena luce, senza ombre, e se le ombre ci sono, sono precise come gli spigoli.

C’è, secondo noi, una forte similitudine di intenti tra la scrittura di Alain Robbe-Glillet e la pittura di Silvia Negrini, che bene si sposano. Nessuna gelosia sembra qui schermare questo ordine.

 

Nell’immagine:
Alain Robbe-Grillet, La gelosia (1957), Milano, SE, 2020

 

Luciano Passoni
Di formazione artistica, ex insegnante, ex libraio.
Oggi attivo in luogo_e.