Il peso della madre

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[19 maggio – 30 luglio 2022  *  giovedì, venerdì, sabato 14 – 19]
Inaugurazione giovedì 19 maggio, dalle 14 alle 21
Beniamino Barrese, Cinzia Benigni, Inès Cagnati, Lisetta Carmi, Alessandra Cassinelli,
Lucrezia Costa, Linda Fregni Nagler, Giovanni Oberti, Moira Ricci, Antonia Pozzi,
Rainer Maria Rilke, Michele Savino, Maison Ch. Letaille

 

La storia dell’arte trabocca di madri che sorreggono il peso dei figli. Basti pensare alla sola arte occidentale di carattere sacro: la Madonna che tiene in braccio il bambino è una delle iconografie più ricorrenti. Tale sostegno si ritrova poi nelle più drammatiche deposizioni e nei compianti, dove la stessa Maria regge il figlio ormai adulto, esanime.
Anche fuori dall’arte sacra questa è la lettura dominante della madre – sostegno e cura, figura spesso edulcorata, idealizzata, immortalata in un ruolo fisso che si pretenderebbe unico e universale.
I presupposti di questa mostra nascono da un desiderio di ribaltamento: si vuole indagare il peso della madre che ricade sulle spalle dei figli.

Peso è una parola dai significati variegati, e così luogo_e la usa, con tutti i suoi intesi e sottintesi. Tra i suoi sinonimi compaiono parole agli antipodi: il peso è pesantezza, gravità, zavorra, fardello, preoccupazione, onere e dovere. Eppure è al tempo stesso rilievo, valore, importanza, influenza.
Ciò che si propone è dunque una carrellata di pesi diversi, di varie intensità. Ci sono il peso della mancanza se una madre è assente o scomparsa, e il peso di una madre che è eccessivamente presente; il peso di un affetto troppo importante, totalizzante, e il peso di un affetto insufficiente. Ci sono il peso di una madre rifuggita e quello di una madre costantemente inseguita; il peso di un nutrimento dato e vitale, che è però al tempo stesso scelto a priori, pre-masticato – in senso fisico e culturale.
C’è infine il peso di una madre tutta interna a sé, la madre che ciascuno diventa quando – più o meno coscientemente – dà vita a un nuovo io, con una forma diversa e sfaccettature impreviste.
Anche questo io-figlio porta inevitabilmente il peso dell’io-madre che l’ha generato, dell’io di prima che ne è stato matrice.

 

Luogo_e, Il peso della madre, veduta dell’installazione

 

Moira Ricci, 20.12.53 -10.08.04, 2004-14
stampe lambda su dibond, dimensioni variabili
courtesy LAVERONICA Arte Contemporanea

Nel titolo due date, l’alfa e l’omega di una vita – la vita della madre dell’artista. Attraverso operazioni di fotomontaggio, Moira Ricci si inserisce nelle foto ricordo di sua madre in cui lei era assente. Un tentativo impossibile di compartecipazione di luoghi, atmosfere e giorni lontani, per esorcizzare il dolore della separazione e sconfiggere nel campo dell’immagine l’inesorabilità del tempo e dello spazio.

 

Autore Anonimo, Senza titolo, 1860-80
ferrotipo, dalla raccolta The Hidden Mother
Collezione Linda Fregni Nagler

Un ferrotipo tratto dalla sconfinata collezione di fotografie vernacolari dell’artista Linda Fregni Nagler. La raccolta The Hidden Mother si compone di centinaia di immagini i cui soggetti sono bambini molto piccoli, spesso neonati. I lunghi tempi di posa imposti dalla fotografia ai suoi albori rendono necessario reggere il bimbo, mantenerlo in posa. Il trucco c’è, e si vede. Le madri si fanno supporti, sostegni, quasi poltrone, sfondi – comparse scomparse nei ritratti dei figli protagonisti. Nascoste da stoffe, tendoni e tappeti, quanto più le “madri nascoste” rifuggono il ruolo di soggetti delle immagini di allora, tanto più attirano l’occhio curioso dello spettatore di oggi.

 

Maison Ch. Letaille, Les 5 trònes ou Jésus veut ètre adoré
par le Communiant fidèle,
1er tròne – Le Sein de Marie, XIX sec.
santino francese merlettato, 12×8 cm
Collezione E. Belotti

Un’immagine votiva francese, dedicata alla Madonna nel XIX secolo dalla Maison di Charles Letaille, specializzata nel creare santini di carta a più ante, con immagini plurime e sorprese in filigrana da scoprire in controluce. Il soggetto centrale di questa immagine è una giovane donna, ritratta mentre sistema un lenzuolo. Solo retroilluminandola la carta lascerà apparire un bambino tra le braccia della donna, e quattro angeli attorno alla culla.

 

Lucrezia Costa, Shifting my energy to you, 2021
videoperformance, colore, 10:00 min
courtesy l’artista

Nasce da una riflessione sull’entropia questo video in cui Lucrezia Costa amorevolmente fascia sua madre con un panno di feltro che ha cucito in precedenza. Il feltro come tessuto che mantiene il calore, come antidoto alla sua dispersione – gesto che si oppone all’inesorabilità del decadimento, dello spegnimento cosmico. Cucire e fasciare, due gesti di cura rivolti da una figlia alla madre. Fasciata, la madre assume la forma esorcizzante di una mummia, o quella idealizzante di una statua, di una Madonna – forme che poi si stemperano in un tenero abbraccio finale.

 

Alessandra Cassinelli, Matrimonio, 2005
stampa fotografica digitale (2022), 31×25,5 cm
courtesy l’artista

Facendo volutamente il verso alle classiche foto ricordo che si scattano il giorno del matrimonio, Alessandra Cassinelli mette in scena l’atto del bacio tra gli sposi. Sullo sfondo di un romanticismo “fatto in casa”, l’artista-sposa, in un tradizionale e candido abito bianco, si ritrae nell’atto di baciare lo sposo. Ma nei panni di quest’ultimo, si scopre per ammissione della stessa Alessandra Cassinelli, si nasconde la madre dell’autrice. Un tentativo estremo e impossibile di sancire un legame eterno e inscindibile.

 

Inès Cagnati, Génie la matta, 1976
Adelphi Edizioni, traduzione di Ena Marchi, Milano, 2022

In questo romanzo dai diversi cenni autobiografici, una figlia ricorda e racconta una vita di tentativi falliti. Tentativi di costruire un rapporto affettivo con una madre anaffettiva, tentativi di catturare l’attenzione di una madre diventata tale a seguito di una violenza subita in giovane età. Un libro commovente, in cui sforzi e fallimenti sono raccontati dalla figlia senza rancore, senza rabbia, ma con nostalgia, affetto e poetica indulgenza.

 

Beniamimo Barrese, Benedetta mamma, 2022
stampa digitale giclée da negativo 120 mm, 25,5×36 cm
courtesy l’artista

Più di una volta la ricerca di Beniamino Barrese si è focalizzata sulla figura di sua madre, Benedetta Barzini. Della madre, famosa modella degli anni Settanta, oggi insegnante sensibile al tema dei diritti delle donne, l’artista ha cercato di indagare e portare alla luce gli aspetti umani a suo avviso più nascosti (al pubblico) e preziosi. Tale tentativo culmina nel docu-film intitolato La scomparsa di mia madre, proiettato a luogo_e nell’accadimento del 21 luglio 2022, alla presenza dell’autore. Il suo costante tentativo di creare un ponte, una connessione con la versione più autentica della madre, si riassume nella fotografia in mostra: Beniamino Barrese vi ritrae la madre così com’è oggi, ma sfocata, quasi annullandone le sembianze. Riflesso dei grossi occhiali che indossa, unici elementi ben a fuoco, scorgiamo lui, figlio prima che artista, intento a ritrarla, a catturarla.

 

Alessandra Cassinelli, Issue de secours, 2005
video, colore, suono, 2:34 min
courtesy l’artista

Una madre in viaggio in treno con il figlio piccolo sulle ginocchia. Una ripresa fatta di nascosto, dai sedili attigui. La donna addenta una pagnotta e, dopo averla sminuzzata, dalla sua bocca la passa nella bocca del figlioletto. In loop.
Un amorevole gesto di cura, un processo di svezzamento che l’avvicina all’immagine di una mamma-uccello nella sua nidiata. Ma nel pensiero dello spettatore, col ripetersi della sequenza, si fa strada una seconda immagine: l’immagine del pre-masticato – condizione che accomuna il cibo del video e la cultura pre-digerita che da ogni generazione si travasa nella seguente nei primi anni di vita, quelli che precedono la costruzione di un sé più indipendente.

 

Giovanni Oberti, Senza titolo (Seno), 2016
limone, gesso, ferro, polvere, dimensioni variabili
courtesy l’artista

Due mezzi limoni rinsecchiti infilzati su due sottili bacchette di ferro che fuoriescono dal muro. Il rimando è a due capezzoli avvizziti, a seni prosciugati – dall’allattamento, dal tempo che passa. Nella mente dello spettatore profumi e sapori lattiginosi si mischiano all’aspro rimando al succo di limone.

 

Antonia Pozzi, Pudore, 1933
in Guardami: sono nuda, Edizioni Clichy, Firenze, 2014
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Michele Savino, Anagrammi, 2022
lettere magnetiche, dimensioni variabili
courtesy l’artista

Nella poesia Pudore Antonia Pozzi scrive di arrossire se al lettore piacciono le sue parole, “come una mamma piccola e giovane” quando un passante le dice che il suo bambino è bello. Luogo_e accosta la poesia all’opera di Michele Savino: l’artista, anagrammando il proprio nome e il cognome, compone decine di brevi frasi dal sapore poetico e surreale. Da sé genera altro da sé. Luogo_e tra i suoi anagrammi ne seleziona sette che alludono al femminile, alla maternità, alla generatività.

 

Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, 1910
Garzanti, traduzione di Furio Jesi, Milano, 2014
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Lisetta Carmi, I travestiti. La Sissi, 1965-70
stampa digitale su carta baritata da negativo 35 mm, tiratura 2/6, 27×27,5 cm, 2017
Collezione privata

In una pagina de I quaderni di Malte Laurids Brigge di Rainer Maria Rilke il protagonista, Malte, ricorda un gioco d’infanzia in cui, solo in casa con la madre, giocava a fingersi Sophie, la figlioletta femmina che secondo lui la donna aveva sempre desiderato. In questo gioco fatto di vestaglie lunghe e capelli acconciati, Malte nella sua storia diventa personaggio, un altro sé, che commenta e rimprovera il Malte “di tutti i giorni”, mettendone in luce vizi e difetti.
Il brano è messo in dialogo con una fotografia di Lisetta Carmi tratta dalla serie di ritratti I travestiti, scattata negli anni Sessanta in un quartiere di Genova. Protagonista di questo scatto è La Sissi, di cui luogo_e mette in luce il potere generativo che è insito in ogni sé che sceglie di dare vita a un altro sé –diverso da quello che gli è toccato in sorte, e del quale porterà sempre con sé il bagaglio (e il peso) delle esperienze vissute.

 

Cinzia Benigni, Senza titolo, 2017
utero in vetro soffiato, 20x30x18 cm
courtesy l’artista

Un utero di vetro trasparente, quasi una bolla di sapone. Fragile, leggero. L’artista ipotizza la forma immaginaria dell’organo da “gonfio”, seppur vuoto. Un organo che contiene e che prende forma, che si dilata, tendendosi fino a diventare sottile. La luce filtra così attraverso la pelle, raggiunge il feto, dà vita a riflessi luminosi nel liquido amniotico che diviene il luogo delle prime visioni, il materiale per i primi sogni che precedono il parto.