De annuncio • Luciano Passoni

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Non vogliono essere esaustive queste mie riflessioni sul tema dell’Annunciazione. Dico subito che, qualora li sfiorassi, non è mia intenzione cimentarmi su temi teologici. Sono suggestioni di carattere umano, le mie, legate agli aspetti della Storia dell’Arte e alle emozioni che suscita.
Tratterò due opere pittoriche relativamente vicine tra loro nel tempo: l’Annunciazione di Leonardo agli Uffizi e quella di Lorenzo Lotto a Recanati, per poi saltare diversi secoli per leggere l’Annunciazione di Arturo Martini, una scultura del 1932, che ebbi l’occasione di vedere al Museo del ‘900 a Milano e un dipinto di Otto Dix esposto nel Museo di Colmar.

 

Leonardo da Vinci, Annunciazione, 1472-1475 circa
olio e tempera su tavola
tratta da Pietro C. Marani, Leonardo, Electa, 1994

 

L’Annunciazione di Leonardo è intrisa del chiarore, dell’ordine e della serenità di un Rinascimento maturo, orgogliosamente consapevole delle proprie peculiarità. Lineare, ordinatamente disposta da sinistra a destra, la scena si svolge su un elegante sfondo paesaggistico, immersa nella natura in suggestioni botaniche (cipressi) e culturali (il leggio, pregiata opera scultorea).
Tutto si svolge nella calma, tra vellutate sfumature cromatiche. È un idillio, quasi un sogno, un’atmosfera metafisica di un tempo bloccato in un attimo ovattato; in un luogo di fiaba, in una realtà extra-reale. Compìto è l’angelo, pacata la Madonna, nel silenzio. Le parole sono già state pronunciate. La natura, attonita, assiste, non spira un alito di vento. È l’immobilità di un attimo magico. Stiamo tutti col fiato sospeso, legati al gesto di Maria, nell’attesa…

 

Lorenzo Lotto, Annunciazione di Recanati, 1534 circa
olio su tela
Lorenzo Lotto, catalogo della mostra alle Scuderie del Quirinale, Silvana Editoriale, 2011

 

Qualche decennio dopo Lorenzo Lotto tratta lo stesso tema in tutt’altro modo, quello suggerito dalle tematiche manieriste. La sicurezza e il lindore rinascimentale sono incrinate, lo sfumato delle figure leonardesche lascia il posto al gioco capriccioso della luce e delle ombre. Gli spazi si fanno angusti, di natura quotidiana. Poco sfarzo, niente idillio, nessuna atmosfera fiabesca, bensì una vissuta quotidianità. Una clessidra è posta a misurare il tempo della lettura. L’ordine è solo apparente, un poco incrinato dal trambusto prodotto dalla sorpresa e il disordine in atto non è di tipo spaziale: la natura morta sullo scaffale rimane intatta. Percepiamo un‘inquietudine interiore, non solo nell’uomo ma anche in ogni altro vivente. Il gatto la percepisce e scatta partecipe all’evento. È un momento drammatico, più che di sorpresa. Maria è confusa e incredula, si sente inadeguata in questa cosa strana che sta succedendo, non le sembra vera anche se si veste di realtà. Forse un po’ di dubbio la coglie di fronte a quell’angelo così simile al giardiniere che solitamente cura il giardino dello sfondo.
Cos’è questo – si chiede – un sogno del dormiveglia? Qualcosa di inspiegabile da accettare prima di essere compreso?
Lorenzo Lotto coglie l’attimo in cui il “non capisco” non si è ancora stemperato nell’”accetto”.

 

Arturo Martini, Annunciazione, 1933
marmo, photo credit Paolo Monti

 

Ed ora l’Annunciazione di Arturo Martini.
Ben altre inquietudini attraversavano i primi decenni del ‘900, non solo in arte. La ricerca artistica italiana di quegli anni è tutta protesa a recuperare tradizioni giottesche e suggestioni medioevali in dialettica con le spinte innovatrici e frammentarie di altre ricerche, parziali in Italia, più radicali in Eu-ropa. La volontà di ancorarsi alla tradizione, all’arte gloriosa del passato non poteva, però, risentire delle peculiarità dei tempi moderni. Non spenderò qui una parola sull’Arturo Martini retorico e di regime, che peraltro, non si può disconoscere.
Arturo Martini affronta il tema religioso dell’Annunciazione in tempi in cui, da molti secoli, la religione non è più il collante universale delle ricerche culturali e artistiche. Arturo è un uomo del ‘900, disincantato dalle acquisizioni culturali, dagli eventi storici e dai cambiamenti sociali prodottisi. Niente più sopravvive in lui del Rinascimento, se non l’idea di un tempo favoloso, qualcosa di più lo accumuna invece all’inquietudini del Manierismo sull’uomo, sull’universo, sulla religione. Il ‘900 si sta dimostrando in quegli anni come il secolo della crisi delle speranze e il suo inoltrarsi lo confermerà giorno dopo giorno.
Non c’è pace in Arturo Martini, lo testimonia il suo stesso modo di lavorare, l’uso della pietra, per lo più martoriata dai segni dello scalpello, e della terracotta, terra bruciata dal fuoco, sarà liscio e levigato quasi solo nei bronzi, fusioni di opere nate in gesso o creta. Rude, abbozzato, il suo è un mondo atavico, fatto di materia e di peso.
Se non avesse ben inciso alla base del lavoro in pietra il titolo “Annunciazione”, diversa potrebbe essere la lettura dell’opera. Potrebbe essere la raffigurazione di un incidente domestico, una di quelle immagini presenti negli ex voto in cui una madre, alzandosi di scatto a coprirsi col velo, forse spaventata dai bombardamenti, fa cadere la figlia che aveva sulle ginocchia, e attraverso il quale ringrazia la Madonna per lo scampato pericolo. Arturo Martini ci invita a guardare questa immagine da un’ottica ancora più religiosa e in questa dimensione stanno tutte le grandezze e i nuovi significati che si possono leggere.
Niente di trascendente o di fiabesco; non ci sono angeli eterei con le ali, tutto è terreno e materia.
L’angelo è una bambina che sta cadendo, ben altro ci saremmo aspettati da chi dovrebbe, planando, portare l’annuncio.
La Madonna non è schiva, turbata, confusa o compìta come nella tradizione, qui è spaventata. Di scatto si è alzata a coprirsi col velo come ultima protezione. Non c’è consapevolezza della cosa, è una cosa che cade su di lei inaspettatamente.
E l’angelo cadendo ai suoi piedi, un attimo prima, compie l’atto della sua missione, annunciare l’inizio della prossima nascita nel ventre di Maria. Il tocco di un attimo, uno sfiorare come segno di un segno che lascia il segno.
Forse è una lettura troppo prosaica, o forse, è questo il modo di accettare un fatto miracoloso in un’epoca tutta protesa al progresso, al razionalismo scientista. Un’epoca in cui il miracolo e l’impossibile cercano spiragli nel possibile.
Certamente qualcuno giudicherà questa mia lettura di tipo blasfemo e assolutamente non voglio affermare che questa mia sia la veridica lettura dell’opera di Arturo Martini. Mi chiedo però come mai questo lavoro non sia mai stato collocato in una chiesa e perché nell’estate del 2023 non sia più esposto al Museo del ‘900 di Milano.

 

Otto Dix, L’Annunciazione (Urte), 1950
olio su tela

 

Accolgo a questo punto un suggerimento di Francesco Parimbelli e spendo due parole su un opera di Otto Dix che non conoscevo, l’Annunciazione esposta al Museo di Colmar, che vorrei accostare a quella di Arturo Martini come ho fatto con quella di Lotto a Leonardo.
Praticamente coeva alla scultura di Arturo, l’Annunciazione dipinta da Otto Dix è tutta calata nella realtà. Niente simbolismi, nessun volo pindarico, raffigura una vergognosa e sospettosa Maria proletaria in un angolo di una casa popolare visitata da una presenza angelica.
In un angusto spazio disadorno si stipano due mondi: uno tutto terreno fatto di sobria e orgogliosa povertà, l’altro di una insinuante presenza fatta di leggerezza ed eleganza.
Con il rossore sul viso, il capo chino, lo sguardo in tralice una composta Maria vive la presenza dell’angelo come una evocazione, una fantasia. L’angelo sta parlando, lei sembra ascoltarlo. L’annuncio vira qui quasi nelle forme del rimprovero, situazione forse già molto sperimentata dalle coetanee di Maria alle prese con maternità più o meno desiderare da giustificare in casa e da affrontare nel mondo. Maria sa, come tutte le donne del suo tempo, cosa vorrà dire per lei affrontare una maternità nel modo come si presenta. L’ha voluta? Gli è capitata! L’accetterà.
Otto Dix lascia gli aspetti miracolistici e divini al solo titolo, per lui l’annuncio di una maternità ha già dentro di sé un po’ del miracoloso e del divino.

Per finire una breve chiosa: viviamo in tempi in cui il senso dell’annuncio è scomparso, bersagliati come siamo da messaggi inviati e relativi avvisi sonori. Per lo più sopravvivono in quel senso le parole delle “Cassandre” a prefigurare catastrofi o quelle degli “sponsor” di un futuro di eccezionale bellezza in un mondo ritenuto, per altro, già il migliore possibile. È sparita la prefigurazione di qualcosa di inaspettato se non proprio di miracoloso. Inaspettato e assieme tanto desiderato.
Nessuno, nessun segnale ce lo annuncia più.

+l.
Bergamo, agosto 2023

 

In apertura, Annunciazione, marmo, 1933, particolare, photo credit Paolo Monti

 

Luciano Passoni 
Di formazione artistica, ex insegnante, ex libraio.